Cosa significa Kawaii?

Colori pastello, angoli arrotondati, occhi grandi e fattezze bambinesche ed innocenti.

Tutto questo è il kawaii.

Un aggettivo che è diventata una rivoluzione sociale e un modo di vivere.

Quando è nata la moda Kawaii?

Iniziato canonicamente negli anni ‘80 in Giappone, in verità questo concetto lo si trova in ogni cultura.

Secondo il Kindchenschema un modello teorizzato da Konrad Lonrenz nel 1943, rivela che determinate caratteristiche che associamo ai bambini come: occhi grandi, naso piccolo, guance arrossate, naso piccolo, movimenti goffi e dimensioni ridotte. Portano le persone a provare un impulso di protezione e affetto.

È lo stesso fenomeno che porta ad esempio le persone ad adottare un cucciolo rispetto ad un animale adulto.


Come mai proprio in Giappone?

shibuya community bus hachiko

TIPS & TRICKS

Se siete curiosi delle mode che attualmente circolano tra le strade di Harajuku vi consiglio di sbirciare la pagina instagram TOKIOFASHION

Secondo alcuni studi essendo il Giappone tutt’ora un paese con forte disparità di genere, il fenomeno ha trovato terreno fertile.

Essendo le donne per la maggior parte le pioniere del movimento, il tutto si rimanda al fatto che la figura della donna in Giappone più che in altri paesi, è molto incentrata sulla casa e il mantenimento della prole.

Ma la verità probabilmente è ben diversa.

Sebbene è vero quello detto sopra, il fenomeno kawaii resta un fenomeno estetico che va a richiamare tutte le caratteristiche elencate nel Kindchenschema, su se stessi oltre che a trovarle in oggetti.

Mette quindi un accento interessante sul rifiuto di crescita e omologazione che la società giapponese impone, bel lontano quindi dal voler essere un movimento dedicato alla famiglia e alle donne che vogliono stare a casa a crescere i bambini.

Perchè un fenomeno sociale?

Il concetto di kawaii ha iniziato come detto prima a nascere tra le ragazze, spinte da questo desiderio di rappresentare l’innocenza e l’essere infantili hanno iniziato a utilizzare questa moda come ribellione.

Mano a mano che si va avanti nella società giapponese aumentano le rigidità e le conseguenti responsabilità che da essa ne derivano.

Il dress code cambiai in base all’età e non è possibile sfuggirvi.

Volersi avvicinare a questo stereotipo di ragazza Kawaii spingeva molte ragazze anche universitarie a non abbandonare i colori nel vestiario.

Abbandonare i colori e omologarsi al resto è il punto cardine della società giapponese, i famosi salaryman vestiti tutti uguali rendono il concetto a pieno.

Le ragazze che abbracciavano questo ideale estetico, volevano bloccarsi allo stadio bambinesco dove esisteva il colore, dove sbagliare non era opprimente e esprimere se stessi risultava più semplice.

Abiti pastello, accessori e modi di parlare bambineschi, con un solo colpo d’occhio o con una sola parola era possibile capire chi erano.

È stata una rivoluzione tutta al femminile!

Ad oggi cosa è rimasto

Il massimo splendore di questo fenomeno si ha sicuramente negli anni ‘90 quando appunto in tutto il mondo si estende questo concetto che diventa di uso comune.

Cantanti introducono questa parola nei loro testi o utilizzano immagini di hello kitty nei loro outfit.

Anime e manga iniziano a mostrare e piegare questo fenomeno che si dilaga tra i giovani in Giappone.

Un anime che rende bene questo concetto è sicuramente Super Gals, dove Miyu Yamazaki l’amica di Ran Kotobuki incarna molto bene questo stile. Mettendo inoltre un accento interessante a questa contrapposizione tra il Giappone rigido e il Giappone kawaii grazie a Yamato Kotobuki un agente di polizia che altri non è che il suo fidanzato.

Con il tempo si è mutato, sfociando in altre mode come quella Lolita, Gal e Decora.

Il quartiere di Harajuku è il quartier generale di tutte queste mode è li di fatti dove i ragazzi e le ragazze si incontrano, scambiano e mescolano.

Pompompurin (ポムポムプリン, Pomupomupurin)

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Commessa di un negozio ad Harajuku

Mascotte di Atami